LE MENZOGNE 



PENSAVANO DI FARLA FRANCA Come i partigiani e certe autorità comunali credono di poter fare la Storia ed eternarla nel marmo, stravolgendo la verità... e come certa stampa, di importanza nazionale, si associa alle istituzioni di cui sopra, distorcendo ancor più la verità e, quando proprio non può, sottacendola. 
Mario Abriani 
 

    Forse speravano che fossimo morti tutti o, più semplicemente, credevano che fossimo diventati tanto vecchi e rincitrulliti da non muovere più un passo per i monti e di non accorgerci più di nulla. E allora si sono messi insieme, Comune e A.M.P.I. di Bargagli, piccolo paese dell’entroterra in provincia di Genova, bella associazione questa, per celebrare, con un monumento che ci dicono inaugurato in gran pompa il 27 aprile dello scorso anno, il cinquantesimo anniversario di un episodio bellico che, secondo quanto scolpito nel marmo dell’immagine che riproduciamo, li avrebbe visti non solo partecipi ma vincitori. Niente di più falso! Tutti questi signori infatti, nessuno escluso, sono completamente estranei a quanto avvenuto in quel pomeriggio di fine aprile. E quei pochi partigiani, o presunti tali, che quel giorno si trovavano, non nel bosco della "Tecosa" di certo, ma forse nelle vicinanze, o sono accorsi più tardi, subito dopo aver udito il tam-tam che annunciava trionfalmente che tutto era finito, sono stati soltanto degli spettatori, dei poveri, timidi, sparuti spettatori almeno fino a quando qualcuno di noi portava ancora una pistola alla cintura. Tutti noi che facevamo parte di quella colonna ,che non era composta di settemila uomini, ma di meno dalla metà, ricordiamo, ancora chiaramente, che i pochi individui che abbiamo incontrato in molte ore di marcia, quando ancora perfettamente inquadrati ed armati, dopo esserci lasciati alle spalle Uscio, cercavamo di superare i contrafforti montani per raggiungere la pianura lombarda, erano disarmati o fingevano di esserlo. E la loro viltà l’hanno dimostrata, quando ci incrociavano, o con un breve cenno di saluto, o i più coraggiosi, o forse soltanto i più viziosi, con la richiesta di una sigaretta. Il loro odio, il loro represso "sogno di libertà", il loro "coraggio" sono esplosi soltanto quando noi, durante una breve sosta in una valletta tatticamente inadatta, accerchiati da truppe regolari dell’esercito degli Stati Uniti, vista l’impossibilità di una ragionevole difesa, siamo stati costretti ad arrenderci anzi a "deporre le armi", come ricorda la lapide, con buona pace della sintassi. Ma le armi le abbiamo deposte ai combattenti della 92° divisione di fanteria statunitense e non alle "forze di liberazione nazionale" come i signori del Comune e dell’A.M.P.I. di Bargagli vorrebbero far credere. Ecco smascherata una delle tante vergognose, oscene menzogne di cui questi signori che all’appellativo di partigiani amano sostituire spesso quello di patrioti, hanno cercato di riempire non solo la storia d’Italia ma le menti dei nostri figli e nipoti. Questi indefessi scalpellini, se non sono gli stessi, appartengono certamente alla medesima risma di quelli che a Cencerate e a Barostro si sono accaniti, sempre a martellate e per ben due volte, sulle lapidi che noi, qualche giorno prima, avevamo infisso sul muro di cinta di quei due cimiteri, per ricordare l’eccidio di 15 martiri per la maggior parte marò di San Marco, tra i quali l’eroico quindicenne Oreste Flauto, medaglia d’Oro al valor militare. Loro, i partigiani, le lapidi le erigono per immortalare le menzogne e la vergogna e le distruggono quando la verità li offende. Noi che questi partigiani li abbiamo sempre combattuti e continueremo a combatterli finché vita ci assiste, dobbiamo fare esattamente il contrario. Dobbiamo erigere le lapidi della verità e dell’onore (e quando lo facciamo anche se poi ce le fanno a pezzi) e dovremmo distruggere quelle della menzogna e della vergogna e questo però non lo facciamo e non lo faremo mai. E non soltanto per una questione di etica, di rispetto della libertà e di buon gusto e nemmeno perché sia così difficile usare un martello o ce ne manchi il coraggio, ma perché un ricordo marmoreo come quello di Bargagli, è un monumento al livore, all’impotenza, al falso di chi non sa cosa sia onore, dignità, verità e malgrado ciò pretenderebbe di passare alla Storia come eroico ed intemerato salvatore della Patria. Restino, restino intatti questi monumenti, anzi ne vengano altri, magari anche in luoghi meno impervi e solitari, così che tutti possano ammirarli e ... conoscere finalmente la verità. 

    Il giornalista Edoardo Meoli forse prendendo ispirazione dalla marmorea lapide di Bargagli, o per aver prestato orecchio alle tante "favole" su colonne interminabili di tedeschi e di fascisti e della loro cattura, "favole" che, dopo cinquant’anni, sono quasi entrate nella tradizione popolare locale, e aver magari incontrato, durante l’estate, alcune auto con targa tedesca, ferme per un pic-nic a fianco di una strada dell’entroterra, ha scritto un articolo sul Secolo XIX dell’8 dicembre 95, dal titolo: "IL TESORO DELLA WEHRMACHT? E’ A USCIO" In cinque quarti di colonna, Meoli ha moltiplicato per sette il numero dei militari tedeschi e italiani che formavano la famosa colonna, non accontentandosi ovviamente del raddoppio già eternato nella lapide di Bargagli. Questi uomini erano tutti carichi non di armi e di munizioni ma di casse contenenti banconote e preziosi. Di queste casse abbandonate, anzi accuratamente nascoste dai soldati nazisti prima di rendere la armi alle forze di liberazione nazionale, sarebbero oggi alla ricerca numerosi turisti tedeschi armati (il lupo, specie se tedesco, perde il pelo ma non il vizio) di macchine fotografiche, carte topografiche, badili e zappe. Certamente gelosa della scoperta la sua "consorella" ligure, La Stampa di Agnelli o di Gad Lener (fate voi la scelta secondo preferenze) pubblicava il 21 dello stesso dicembre un analogo articolo, a firma Fabio Pozzo, in cui, grosso modo, si ripetevano le stesse panzane aggiungendo alle casse di gioielli e banconote, altre casse di monete, di tele di gran valore, di libri antichi e addirittura di macchine per la stampa delle banconote che qualche montanaro, sottrattele ai tedeschi, avrebbe fatto funzionare anche dopo. Il nostro simpatico amico e camerata Gigi Piantato, che abita proprio in zona da anni e che faceva parte, come chi scrive, della "famosa colonna" in quanto ufficiale del II° Btg: del 6° Rgt. della San Marco, ha perso la pazienza e ha scritto al Secolo XIX per correggere le molte inesattezze e ristabilire la verità. Il giornale sempre a firma di Edoardo Meoli pubblicava il 24 gennaio 96 un altro articolo in cui riportava molte delle osservazioni ricevute da... (riportiamo testualmente): Luigi Piantato, oggi titolare di un’edicola a Recco, che lucidamente scrive la "sua" storia su quell’episodio oscuro. Ma questo articolo finisce così:
    I militari dell’esercito italiano e quelli tedeschi si arresero poi agli americani che si erano inoltrati nella Fontanabuona. Così spiega Piantato: "Non ci siamo arresi ai partigiani anche se su questo punto non è mai stata fatta chiarezza. Tutta la colonna ebbe l’onore delle armi e fu fatta prigioniera: i militari italiani furono poi trasferiti al campo di Coltano. Inutile dire che l’inciso: "anche se su questo punto non è mai stata fatta chiarezza" Piantato non lo ha mai scritto. Inutili sono state le proteste scritte, telefoniche e a viva voce di Piantato che pretendeva una rettifica.
    Le rettifiche ho il sospetto che siano come la verità.
    A molti danno fastidio.
 
 
 SAN MARCO N. 12. Gennaio-Marzo 1996 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)    
BARGAGLI PARTIGIANA. PENSAVANO DI FARLA FRANCA ...il partigiano “Santo”, il sindaco di Bargagli e il sottoscritto 
Mario Abriani
 
 
    Chi ha letto il numero 12 (gennaio - marzo 1997) del nostro notiziario, ricorderà forse un mio durissimo attacco al sindaco ed ai rappresentanti dell'A.N.P.I. di Bargagli (paesino dell'entroterra ligure in provincia di Genova), che accusavo apertamente di falso in un articolo dal titolo "Pensavano di farla franca".
    Per chi non lo avesse letto, o non lo ricordasse, ripubblico anzitutto la fotografia della causa delle mie accuse, un cippo, collocato nelle vicinanze del luogo in cui avvenne la resa di una colonna della quale anch'io facevo parte, con tutti i miei camerati del II° Battaglione del 6° Reggimento della Divisione Fanteria di Marina San Marco, tra cui, tanto per citarne qualcuno: Caronni, Buffa, Mariani, Piantato, Seth, Rizzi, Zanotto, e che comprendeva alpini, bersaglieri e artiglieri della Divisione Monterosa (tra questi Licitra, Spada e Tamiozzo, nonché altri reparti italiani di minore consistenza, e un certo numero di soldati tedeschi. Ritrascrivo poi un certo numero di righe di quell'articolo, poiché mi sembrano particolarmente significative: " ... un ricordo marmoreo come quello di Bargagli è un monumento al livore, all'impotenza, al falso di chi non sa cosa sia onore dignità, verità, e malgrado ciò pretenderebbe di passare alla Storia come eroe ed intemerato salvatore della Patria.
    Questa pesante affermazione la ribadisco con più violenza, se fosse possibile, a distanza di oltre due anni, specialmente dopo aver letto, nel frattempo, molta letteratura di parte resistenziale, uscita sotto forma di articoli di giornale o addirittura di libri, precedentemente e successivamente alla data della collocazione del famoso cippo (27 aprile 1997). Alludo in particolare a quel condensato di reticenze, distorsioni dei fatti, di contorte ammissioni, in una parola, di mancanza di verità, che è il libro di Elvezio Massai (il partigiano "Santo") intitolato "I ribelli dell'Alpino".
    Libro che pure l'editore Le Mani (nome estremamente rischioso, pool imperante) presenta così nella quarta di copertina: "L’amore di verità ed una memoria assolutamente lucida nella conservazione dei più minuti particolari... hanno aiutato Santo a ricostruire le vicende della guerriglia..."
    Bene, questo signore, il Santo, per intenderci, si è aggiunto al carro degli storici tromboni per avallare con la sua testimonianza quanto sostenuto dal sindaco di Bargagli e dai suoi compagni dell'A.N.P.I. 
    Per concludere io accuso il signor Elvezio Massai, e con lui tutti gli altri, sindaco Luciano Boleto in testa, di un falso, anzi di un falso quadruplo, falso il numero di quanti furono coinvolti in quei fatti da una parte e dall'altra, e falsa l'identità dei protagonisti. In cosa consistono questi quattro falsi che siamo disposti a documentare?
    a)Loro affermano che la colonna che si arrese era composta di circa settemila uomini (secondo qualcuno seimilanovecentoventi tedeschi più fascisti sparsi).
    Noi affermiamo che eravamo meno della metà e che oltretutto per l'80-85 % italiani. Pochi i tedeschi. La colonna era incontestabilmente comandata dal colonnello Pasquali del I° Reggimento della Monterosa che, a capo di una delegazione italo-tedesca, trattò personalmente la resa rifiutando la presenza dei capi partigiani che furono immediatamente allontanati dagli americani stessi.
    b)Loro parlano sempre di pochissimi partigiani, una settantina o non molti di più (c'è addirittura chi parla di undici) Sulla presenza e l'entità dei soldati americani si cerca quasi sempre di glissare (come hanno fatto sul cippo), e, quando proprio non se ne può fare a meno si parla:
- di 9 mortaisti giunti a dare manforte agli 11 partigiani;
- oppure di un plotone di filippini arrivati dalla Fontanabuona al comando di un capitano;
- o anche, da parte dello stesso autore, ma ben 12 anni prima ("Il Lavoro" 28.12.84) di una compagnia di neozelandesi al comando di un ufficiale inglese, giunti sempre da Fontanabuona. Noi affermiamo di essere stati circondati e quindi catturati da un reggimento di nippoamericani, il 442° Fanteria della 92a Divisione Buffalo, e che alla resa non hanno minimamente contribuito i partigiani, che sono stati dei semplici spettatori, quando lo hanno potuto.
    A questo punto invitiamo ancora una volta il signor Luciano Boleto, sindaco di Bargagli, al quale ci siamo rivolti tante volte senza successo due anni or sono, a concordare con noi un pubblico dibattito da tenersi a Bargagli o a Maxena, dove, se ben ricordo, dovrebbe esserci un terrazzo che si affaccia sulla valle, dal quale siamo passati al momento di deporre le armi.
    Questo per ristabilire la verità dei fatti, perché non si costruisce la storia sulle menzogne, ma si favorisce la crescita di un popolo di furbetti vanagloriosi non degni di fede. Se questa sfida non sarà accettata da parte sua o dei suoi tronfi compagni delI’A.N.P.I., del signor Massai o di quanti altri si sentano chiamati in causa dai miei articoli, vuol dire che sono autorizzato a considerarli, oltre che dei contaballe, dei vigliacchi. Se lorsignori preferiscono, possono sempre querelarmi o denunciarmi per vilipendio delle Forze della Resistenza. Vorrà dire che la verità salterà fuori in tribunale.
 
 
SAN MARCO N. 20. Aprile-Giugno 1998 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

LE BUGIE HANNO LA GAMBE CORTE 1 ...e vanno poco lontano, anche lungo "la Strada della Resa"
Mario Abriani
 
 
    Questo titolo ci è suggerito da una lettera di Davide Del Giudice, un giovane appassionato di ricerche storiche, soprattutto attinenti la 2a guerra mondiale, che ha già pubblicato sul nostro Notiziario n° 7/94 la ricostruzione dell'offensiva italo tedesca in Garfagnana, nota allora col nome di "Temporale d’Inverno".
    In questo numero inoltre pubblichiamo anche una sua breve rievocazione del campo di concentramento per prigionieri della RSI di San Rossore.
    Pubblichiamo questa lettera integralmente, come riproduciamo il frontespizio del libro "A fragment of victory in Italy" del colonnello Paul Goodman, citato da Del Giudice, che è la storia delle operazioni della 92a Divisione USA "BUFFALO", e dei reggimenti di fanteria 473 e del 442 (nippoamericano). Altro documento di parte americana rintracciato da Del Giudice è il volume "Buffalo Soldiers" di Thomas St. John Arnold, che conferma quanto scritto dal Goodman, così come un altro testo, dal titolo "The employment of negro troops" di Ulysses Lee, pubblicato dall'Ufficio Storico dell' Esercito Usa.
 
    Ecco il testo della lettera di Del Giudice:
 
    La polemica condotta da Mario Abriani e da altri San Marco a proposito del testo apposto sulla lapide collocata dal Comune di Bargagli a ricordo della fine della guerra, in cui si da merito alla resistenza di avere costretto alla resa oltre settemila tedeschi più i fascisti al seguito, mi ha indotto ad effettuare una piccola ricerca condotta su fonti avversarie. Fonti che danno pienamente ragione ai San Marco.
    Nel volume "A fragment of victory in Italy", il colonnello Paul Goodman, già ufficiale della 92a divisione USA, a pagina 158 racconta che il 27 aprile 1945 la compagnia G del 2° battaglione ed il 3° battaglione del 442° reggimento di fanteria nippoamericano ricevettero la resa di circa 3000 soldati nemici presso Uscio e Ferrada a nordest di Genova. Tale fatto mi è stato confermato da un partigiano che fece da guida ai nippoamericani nello sfondamento del fronte gotico presso Massa il 5 aprile '45, e seguì poi le sorti del 442° reggimento fino a Mentone. Ecco le sue parole: "Presso Uscio partecipai alle operazioni di resa di tedeschi e truppe fasciste ai nippoamericani, ricordo perfettamente che alcuni ufficiali si tolsero la vita in un estremo rifiuto della resa." In quel fatidico 27 aprile, i partigiani quindi si limitarono ad osservare le operazioni di resa, a loro rifiutata dai soldati RSI e tedeschi al seguito. Il grosso dei partigiani sostava infatti sulle colline sovrastanti il bosco della Tecosa, come confermatomi anche da persone anziane del posto. A conclusione vorrei riportare le parole del sergente maggiore Gian Maria Guasti, della divisione Monterosa che era presente ai fatti: "Fummo inquadrati in ranghi ordinati e passammo davanti ad un reparto americano schierato, che ci onorava presentando le armi". Subito dopo buttammo le nostre armi in una valletta alla rinfusa sotto gli occhi vigili dei militari americani..." E questo mi sembra dovrebbe essere sufficiente anche per vincere l'ostinato silenzio del sindaco di Bargagli.
 
    Forti di queste conferme alla ricostruzione da noi fatta nei numeri 11 e 20, ci siamo impegnati ancora durante l'estate nel tentativo di realizzare quel confronto pubblico con il sindaco di Bargagli, i responsabili locali dell'ANPI, e il signor Elvezio Massai, il partigiano "Santo", che permettesse di ristabilire la verità vera. Ma tutti gli approcci tentati con il signor Luciano Boleto, sindaco rosso e partigiano "Braga", che però il 27 aprile '45 non era a Bargagli, sono stati inutili perché non siamo mai riusciti a venire in contatto con lui.
    Abbiamo contattato invece Elvezio Massai, il partigiano "Santo". Il nostro consigliere Gigi Piantato è andato a casa sua per portargli copia del nostro Notiziario. L'accoglienza è stata cordialissima, e si sono lasciati con l'impegno di ritrovarsi per un chiarimento sui fatti di allora. Ma successivamente, dopo avere avuto il tempo di leggere quanto era stato scritto, quando io gli ho telefonato per fissare un incontro, ha accusato me di livore e di falsità. Successivamente, richiamato da Piantato, ha dichiarato: ”Dimenticatevi il mio numero di telefono. Io con voi non parlerò più.”- e gli ha sbattuto giù il telefono, come già aveva fatto con me.
    Il che ancora una volta dimostra che sono tutti sempre disposti ad accettare qualsiasi verità storica, purché sia quella che piace a loro. E in questo paese, di queste "verità" fabbricate se ne vedono in giro di ben più gravi. Quel che è peggio, si continua a fabbricarne sotto l'alta regia dei politici di turno, con la collaborazione di libri, giornali e televisioni.
    L'unica consolazione è che, a seguito della nostra insistita azione, abbiamo ottenuto un risultato: l'espressione " ... una colonna.... deposero..." è stata corretta sul cippo, scalpellando le due lettere finali. Un omaggio non ancora purtroppo alla verità storica, ma per lo meno alla lingua italiana.
    Inoltre, continuando nelle nostre ricerche, abbiamo avuto la fortuna di incontrare una persona seria, che pur non condividendo nulla delle nostre idee di allora e di oggi, è impegnato nella ricerca della verità dei fatti. Quest'uomo è Eugenio Ghilarducci, giornalista e storico, che non nasconde certo le sue simpatie per la Resistenza Vera, e sperava, poiché lui non ha potuto parteciparvi, avendo allora solo 10 anni, che "Resistenza fosse sinonimo di pace, democrazia, onestà e rispetto di ogni uomo e della verità", per citare le sue testuali parole. Ghilarducci abita da quasi venti anni a Bargagli, ed ha pubblicato ben 28 volumi di storia medioevale e d'ambiente e costumi liguri. Ha scritto anche un libro dal titolo "Storia - Giallo e fantasia in Bargagli " in cui inutilmente ha cercato di far luce su diversi fatti ed avvenimenti a dir poco misteriosi, di questa località. Fatti ed avvenimenti tutti che, delitti compresi, pur avvenuti a distanza anche di molti anni, sembrerebbero avere avuto origine proprio in quella resa di Tecosa, ed in un fantomatico tesoro che allora sarebbe stato abbandonato in loco dalle truppe tedesche in ritirata. Con lui ho parlato a lungo, esponendogli la nostra verità, poiché lui ignorava che la maggior parte della colonna fosse costituita da soldati italiani. Lui ha riconosciuto l'incompletezza e la scarsa affidabilità della parte del suo libro che riguarda la resa di Tecosa, attribuendole al fatto che le sue fonti erano assolutamente di parte e molte volte di seconda mano. Abbiamo alla fine stretto un patto di collaborazione, che permetta di far luce finalmente su quanto riguarda non certo i tesori o i delitti, ma la storia militare che sola ci riguarda. Ci ha addirittura scritto per suggellare questo nostro accordo la lettera che riproduciamo in originale, nel riquadro qui a fianco.
 
 
SAN MARCO N. 21. Luglio-Settembre 1998 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

LE BUGIE HANNO LE GAMBE CORTE 2
Dagli archivi Ufficiali USA altri documenti che comprovano la falsità del testo della lapide partigiana del Bosco della Tecosa a Bargagli
Mario Abriani
 
 
    Ritorniamo per la quarta ed ultima volta sulla polemica già condotta nei numeri 12, 20 e 21 del notiziario, a proposito della lapide eretta nel comune di Bargagli dal sindaco Boleto e dall’ANPI locale, in cui si attribuisce al merito dei partigiani la resa di una colonna italo-tedesca di 7.000 uomini, avvenuta il 27 aprile 1945. La sfida da noi lanciata nel numero 20 ad organizzare un pubblico dibattito sull’argomento, o a querelarci, non è stata raccolta. Nel successivo numero 21 pubblicavamo una lettera di Davide Del Giudice che ci portava la testimonianza di un partigiano, il quale aveva fatto da guida ad un reparto nippo-americano dallo sfondamento della Linea Gotica fino all’arrivo a Mentone, nonché quella delle memorie del colonnello Paul Goodman, già ufficiale della 92a Divisione americana "Buffalo". Entrambi concordavano sul fatto che la resa dei circa 3.500 (e non 7.000) italo-tedeschi (reparti della Monterosa, San Marco e tedeschi, al comando del colonnello Pasquali del 1° Reggimento della Monterosa) era stata ottenuta dai nippo americani, mentre i partigiani si limitavano ad assistere dalle colline circostanti. Oggi siamo in grado, per l’impegno del nostro socio Isacco Valli, residente negli USA, che li ha ottenuti dagli Archivi di Stato americani, di pubblicare quanto è stato possibile ricavare dal testo di tre documenti: 
    Dal primo di questi documenti risulta alla data del 27 aprile:
01.00 …informazione dai partigiani, vi sono circa 300/350 nemici a Uscio e nelle vicinanze…
05.36 Dal III/473°: 1700 nemici, 30 veicoli, 5 cannoni controcarro, 2 pezzi da 149 mm localizzati a Uscio, settore 1547. Al momento rifiutano la resa. Posizione difensiva è stata presa dalle compagnie "L" & "M" nel settore 167490, bloccando l’unica strada di ritirata. 
12.30 Messaggio da Comando del III Battaglione: Ha preso contatto con circa 4.000 nemici. Richiesta Artiglieria e supporto aereo.
12.35 Comando 473° discussa la situazione con Comando 92a Divisione . Comando 92a riceve messaggio indicante la posizione del 442° Reggimento Fanteria relativo alla stessa situazione.
    Qui si inserisce il terzo documento, un succinto rapporto operativo del 442°, il cui terzo Battaglione arriva coi camion a Lumarzo alle ore 13.15, a rinforzo del 473°. Qui è informato del fatto che il nemico, situato sulle colline a Nordovest (Bargagli, ndr), intende arrendersi. Il reparto prosegue a piedi (per le interruzioni stradali) diretto a Bargagli.
Torniamo al 473° Reggimento. La Storia Ufficiale del reparto firmata dal Capitano David Streger, (documento b) a pagina 20 riporta: "G" Co and 3rd Bn captured some 3000 Pws’ with all equipment at Uscio".
Ovvero " la Compagnia "G" e il 3° Battaglione catturano circa 3.000 prigionieri con tutto l’equipaggiamento a Uscio. 
Riprendiamo il più particolareggiato resoconto delle trasmissioni tra Comando e reparti del 473° (documento a):
15.00 L’affluenza di prigionieri sta creando dei problemi. Compagnia Anticarro ha compito di custodire ed evacuare i prigionieri sotto la direzione del Servizio 2. L’S. 2 dice di sorvegliare il comportamento dei partigiani nei riguardi dei prigionieri, che devono essere sotto il controllo completo degli americani e portati via.
16.15 I plotoni "I" e "R" hanno ricevuto ordine di appoggiare l’S. 2 nel trattare coi partigiani e nel farli allontanare.
16.30 Mr Banks (S.4) invia al Q.G. della 92a Divisione la richiesta di provvedere immediatamente 5.000 razioni per i prigionieri.
18.45 Dall’Ufficio G2 della 92a al comando del 473°: campi di raccolta per prigionieri sono ora stabiliti a La Spezia, LAVAGNA, Genoa.
    Lavagna, campo sportivo, è appunto il luogo dove sono stati concentrati, dopo una notte passata all’addiaccio a Gattorna, i soldati catturati nel Bosco della Tecosa. 
    E con questo mettiamo la parola fine a questa già troppo lunga storia, anche perché di balle del genere in circolazione ce ne sono molte, e non ci mancherà materiale di cui occuparci. 
 
 
SAN MARCO N. 27. Gennaio-Marzo 2000 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

 
"LA VERITA’ TI FA MALE LO SO'"
Dedicato al sindaco di Bargagli e agli altri campioni della memoria di parte
 
    Anche in questo numero continuiamo la nostra ricerca delle verità negate da chi detiene il monopolio ufficiale della storia italiana, come potrete vedere nell’interno.. Non avevamo più intenzione di tornare su un fatterello minore come quello di Bargagli, ma recentemente abbiamo avuto la soddisfazione di vedere pubblicate sul "Secolo XIX" di Genova in data 23 aprile c.a. le stesse documentazioni, provenienti da fonti militari americane, da noi presentate nel numero scorso a proposito della resa della colonna Pasquali il giorno 27 aprile 1945 ai fanti nippoamericani del 473° Reggimento Fanteria, e non ai partigiani locali come afferma la lapide posta nel Bosco della Tecosa. Certo non ci attendiamo che il sindaco modifichi la sua lapide solo perché un capitano dell'esercito USA afferma sulle pagine del principale quotidiano della Liguria cose diverse da quelle che lui ed i suoi compagni continuano a millantare da oltre cinquant’anni. Stiamo prendendo però in considerazione l’idea di chiedere proprio agli uffici del suo comune, l’autorizzazione ad erigere di fronte alla lapide esistente, una nostra lapide con il racconto dei fatti realmente accaduti. Di fronte, diciamo, e non al posto, perché noi non siamo persone che fanno saltare le lapidi degli avversari, come usano invece certi compagni, per esempio a Coltano, dove la lapide che ricorda la prigionia di oltre 30.000 soldati della RSI è stata distrutta ormai un numero imprecisato di volte. Troveremmo anzi utile, in questo paese, che due lapidi si fronteggino narrando in modo opposto lo stesso episodio. Sarebbe forse uno stimolo per le future generazioni a cercare di documentarsi su quanto viene loro propinato sui testi di storia. 
 
 
SAN MARCO N. 28. Aprile-Giugno 2000 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
 

DOMUS